Omeopatia Veterinaria, sempre più proprietari di animali ricercano metodi di cura alternativi per il loro animali. L’omeopatia unicista è uno di questi. Ma come funziona e quando può essere utile?
A cura della Dott.ssa Chiara Dissegna Medico Veteterinario Master in Nutrizione e Alimentazione del cane e del gatto Iscritta al registro degli Omeopati accreditati FIAMO www.chiaradissegna.it
Le origini dell’omeopatia “veterinaria”
L’omeopatia nasce in Germania a cavallo tra il 1700 e il 1800 grazie alle intuizioni del dottor Samuel Hahnemann. Scoprì che il chinino, che veniva utilizzato per curare la malaria, se assunto quotidianamente, produceva su un soggetto sano gli stessi sintomi malarici.
Dopo una serie di esperimenti, produsse la sua prima teoria, che il simile cura il simile (simila similibus curantur): una sostanza capace di produrre in soggetti sani certi sintomi e capace di curare quegli stessi sintomi di un soggetto malato.
Rimedi omeopatici
Hahnemann iniziò a sperimentare su sé stesso e sui suoi collaboratori numerose sostanze, annotando scrupolosamente la sintomatologia che producevano. Queste raccolte di sintomi crearono la prima materia medica.
I rimedi derivano sostanze del regno minerali, vegetale e animale estremamente diluite; non sono somministrati in dosi ponderali, ma estremamene diluiti, così da ottenere la dose minima capace di spingere l’organismo a reagire alla malattia e nello stesso tempo evitare gli effetti indesiderati della sostanza stessa.
I rimedi non vengono sottoposti solo a diluzione ma anche a dinamizzazione, un energico scuotimento che ne aumenta l’attività. In base alla necessità del paziente, il medico omeopata sceglierà la diluzione più adatta caso per caso.
L’approccio al paziente della medicina omeopatica
La medicina omeopatica non vuole curare il sintomo ma guarire il soggetto nel suo insieme. La forza vitale è stata perturbata e deve essere ripristinata. La prima visita con un medico veterinario omeopata potrebbe risultare un po’ strana per chi non è abituato.
Infatti, dopo aver raccolto l’anamnesi e visitato l’animale, il Veterinario inizierà a fare domande per indagare le caratteristiche emozionali e mentali del paziente. Potrà fare domande che riguardano le paure, i gusti alimentari, le preferenze stagionali, l’approccio agli altri cani o gatti o ai famigliari. Ogni dettaglio è davvero importante per la ricerca del rimedio unico, capace cioè di coprire la totalità dei sintomi di quel soggetto.
Quali animali si possono curare con l’omeopatia veterinaria?
Cane e gatto vengono portati spesso dall’omeopata veterinaria e solitamente sono accompagnati da proprietari molto attenti, capaci di rispondere ad ogni domanda fatta. Discorso ben diverso quello degli animali da reddito, dove però l’omeopatia ha un grande utilizzo, in particolar modo nel campo del biologico. Lì il Veterinario deve essere capace di cogliere le caratteristiche del soggetto dai sintomi che manifesta e dal suo modo di comportarsi. L’esperienza poi è fondamentale.
Quali patologie possiamo trattare con la medicina omeopatica?
Non ci sono limiti all’approccio omeopatico: si possono gestire benissimo problematiche acute (come le diarree, le cistiti, le bronchiti) e affrontare anche problematiche croniche (come asma felina, insufficienza renale cronica, dermatiti…). L’omeopatia è sempre più utilizzata anche in ambito oncologico, come supporto al paziente.
Negli allevamenti la medicina omeopatica ha un ruolo importantissimo, in particolar modo nel biologico. Riuscire a curare gli animali da reddito con una medicina efficace, sicura e senza residui sicuramente è la scelta del futuro.
Effetto placebo?
Per screditare l’efficacia della medicina omeopatica è sempre nominato l’effetto placebo, ossia che i miglioramenti in seguito all’assunzione dei rimedi sono dovuti ad un condizionamento mentale. Negli animali però è davvero difficile che questo possa avvenire.
Certamente un cane o un gatto traggono giovamento dall’essere accuditi e curati, ma questo da solo non può giustificare i miglioramenti che quotidianamente vedo nel mio lavoro. Ancor meno questo discorso si può applicare nei grossi animali, dove l’attenzione al singolo è decisamente ridotta e non equiparabile a quella che ricevono gli animali da compagnia.
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