Ma esistono davvero i gatti alfa? La risposta è no: il termine “alfa”, se applicato ai gatti, è un’etichetta fuorviante che non rispecchia la loro natura e le loro dinamiche sociali.
A cura della Dott.ssa EWA PRINCI Consulente esperta in comportamento ed etologia del gatto. Centro di Cultura Felina
Capita spesso di sentire frasi come: “Lui è il capo, è l’alfa della casa”, oppure, “Comanda sugli altri gatti, è quello dominante”.
Sociali facoltativi
L’immaginario collettivo ha spesso bisogno di semplificazioni: nelle famiglie multigatto, vedere un individuo che prende l’iniziativa, che occupa le postazioni migliori o che si muove con sicurezza, porta a pensare che sia un “capo”.
In realtà, i gatti non vivono secondo gerarchie rigide. Sono definiti animali sociali facoltativi: questo significa che non hanno un bisogno biologico di vivere in gruppo, ma possono scegliere di farlo, quando le condizioni lo permettono.
- 1- Se le risorse (cibo, riparo, spazi) sono abbondanti, i gatti possono convivere anche in gruppi numerosi, formando colonie urbane o famiglie domestiche. In questi casi, imparano a tollerarsi, a dividersi gli spazi e a costruire relazioni più o meno stabili.
- 2- Se invece le risorse scarseggiano, il gatto tende a vivere da solo, difendendo un territorio che garantisca la sua sopravvivenza.
La loro socialità, quindi, è flessibile e opportunistica. Non nasce da una rigida struttura di ruoli, ma dalla capacità di adattarsi al contesto. Ed è proprio questa caratteristica che rende inappropriato parlare di “gerarchia” o di “capo”: ogni gruppo di gatti è un microcosmo unico, regolato più dalla disponibilità delle risorse che da un leader dominante.

Come funzionano i rapporti tra gatti
Quando i gatti vivono insieme nella stessa casa, non stabiliscono una piramide con un leader assoluto.
Alcuni soggetti possono essere più intraprendenti e godere di alcuni priviglegi:
- accedono per primi al cibo
- esplorano nuove stanze senza esitazioni,
- scelgono i punti più alti della casa.
Altri, invece, preferiscono aspettare, osservare o ritagliarsi spazi più tranquilli.
Questo non significa che ci sia un “capo” e dei “subordinati”: semplicemente ogni individuo manifesta il proprio stile relazionale.
Le loro relazioni sono flessibili, variabili e basate sulla tolleranza reciproca, cambiano nel tempo e a seconda della situazione.
I gatti non cercano un capo che li guidi, ma imparano a rispettare (più o meno) gli spazi e i tempi degli altri.
A volte convivono senza grandi interazioni, semplicemente condividendo lo stesso ambiente in modo pacifico; altre volte sviluppano legami più stretti, fatti di vicinanza, grooming e gioco.
Questa elasticità è il vero segreto della convivenza felina. Ogni gruppo trova il proprio equilibrio unico, costruito su accordi silenziosi piuttosto che su gerarchie imposte.
Questione di risorse, non di gerarchia
La chiave per capire i rapporti tra gatti non è la dominanza, ma la gestione delle risorse:
- cibo e acqua;
- lettiere;
- zone di riposo;
- accesso alle zone alte;
- momenti di interazione con l’umano.
Se queste risorse sono abbondanti e ben distribuite, il gruppo vive in equilibrio, senza conflitti evidenti. Se invece sono limitate o concentrate tutte nello stesso punto, aumentano le tensioni: non perché ci sia un “alfa” che vuole comandare, ma perché i gatti si trovano costretti a competere.
Ecco perché i conflitti tra gatti in casa non sono il segnale dell’esistenza di un “alfa”, ma piuttosto il sintomo di una gestione inadeguata delle risorse.

La convivenza felina
Si fonda sulla possibilità di scelta e di accesso equo, non sulla leadership, non sono animali inclini alla condivisione spontanea delle risorse. Per loro, ogni risorsa fondamentale è vissuta come personale e individuale. Non esiste un vero concetto di “bene comune” da spartire armoniosamente, piuttosto, ogni gatto tende a considerare quelle risorse come “sue” o a ricercarne di dedicate.
Questo non significa che non possano trovarsi insieme vicino a una ciotola o riposare vicini sullo stesso divano, ma che la condivisione è frutto di tolleranza e accordo momentaneo, non di regola sociale fissa. Per questo motivo la gestione delle risorse diventa determinante.
L’errore delle etichette
Definire un gatto “alfa” può sembrare innocuo, ma rischia di creare fraintendimenti:
- fa pensare che un individuo “comandi” davvero sugli altri;
- induce a credere che la relazione con il gatto vada gestita in termini di obbedienza;
- oscura la vera natura dei rapporti felini, che sono dinamici e situazionali. In più, parlare di “alfa” porta spesso le persone a interpretare i comportamenti dei gatti in chiave di conflitto e potere, mentre il loro linguaggio è molto più sfumato e sottile.
Cosa osservare davvero
Piuttosto che cercare un capo, è utile imparare a osservare:
- Distanze. Quali gatti si avvicinano
- e quali mantengono spazio.
- Rotazioni. Chi accede prima a una risorsa e chi dopo.
- Segnali di evitamento.Sguardi distolti, posture rigide, camminate laterali.
- Momenti di alleanza. Grooming reciproco, riposo condiviso, giochi pacifici.
Questi elementi raccontano molto di più della vita di gruppo rispetto all’idea, troppo umana, di “soggetto alfa”.
Il fascino della complessità
La bellezza dei gatti sta proprio nella loro straordinaria capacità di adattarsi al cambiamento. Le relazioni non sono mai statiche. Ciò che osserviamo oggi può trasformarsi domani, e questo vale sia nelle colonie che nelle famiglie domestiche.
Ogni gruppo di gatti è un universo a sé. Non ci sono regole universali o ruoli immutabili, ma una rete di micro-equilibri che si ridefinisce continuamente. Un gatto può essere più assertivo in un contesto, per esempio accedendo per primo al cibo o scegliendo la postazione più alta, e diventare più prudente in un altro, come di fronte a un rumore improvviso o alla comparsa di un estraneo.
I Mici regolano le proprie scelte in base al contesto, al loro stato interno e al comportamento degli altri individui. Questa fluidità è il vero segreto della convivenza felina: non c’è un capo fisso che detta le regole, ma un sistema vivo, in costante trasformazione, dove ciascun gatto trova il proprio posto, momento per momento.
Conclusione, No, i gatti alfa non esistono!
Quello che esiste sono gatti con personalità diverse, che imparano a convivere costruendo un mosaico di relazioni fatto di scelte, distanze, risorse condivise e silenzi. Ridurre tutto al concetto di “capo” è una scorciatoia che non rende giustizia alla loro complessità. Il mito del “gatto alfa” è umano, non felino. Nei gatti non c’è bisogno di un leader: c’è bisogno di spazi adeguati, risorse distribuite e rispetto delle individualità.

















