Il gatto nell’Antica Grecia

I greci guardavano con ironia tutte le civiltà che attribuivano poteri magici ai piccoli felini. Nella mitologia greca era figlio di Artemide ma in generale il gatto nell’Antica Grecia era considerato solo un “cacciatore di topi”.

Dott.ssa SILVIA DIODATI – Medico Veterinario

Gli egizi gli adoravano mentre i greci…

Solo ai tempi del favolista Esopo, un gatto rischiò di provocare un clamoroso episodio di contrasto fra i due popoli antagonisti…

Gli antichi greci non avevano troppa simpatia per i gatti: li consideravano solo “cacciatori e mangiatori di topi”. Ma a dispetto di questo atteggiamento di sufficienza si deve proprio a loro se questi felini, ritenuti originari dell’Africa, si sono poi diffusi anche in Europa.

La leggenda di Galstelols

Narra infatti una leggenda che un generale greco di nome Galstelols avesse sposato in tempi molto antichi una figlia del faraone e, trasferitosi in Egitto, fosse stato nominato dal suocero generale a capo dell’esercito egiziano. Abile e coraggioso, il greco ebbe grande prestigio e fortuna fino al giorno in cui ricevette l’incarico di domare la rivolta degli Ebrei che volevano trasferirsi dall’Egitto alla terra promessa in Israele.

Si trattava di impedire e contrastare quella che sarebbe stata una delle più grandi imprese del popolo ebraico, e cioè l’esodo dall’Egitto sotto la guida di Mosè, l’evento che ha ispirato alcune delle immortali pagine della Bibbia. Come sappiamo, per l’esercito del Faraone fu una grande sconfitta.

Il povero Galstelols per salvarsi dalla prevedibile ira del Faraone, decise di fuggire in Portogallo insieme alla moglie che, pur di seguirlo, non esitò ad abbandonare onore e ricchezze. Quello a cui la bella egiziana non volle assolutamente rinunciare, però, fu separarsi dai suoi amatissimi gatti. Perciò se li portò con sé in esilio. Col passare dei secoli, i discendenti dei vecchi gatti egiziani portati in Portogallo si sarebbero poi diffusi in tutta la Spagna e di lì, attraverso la Gallia, sarebbero arrivati anche a Roma.

Mitologia greca: il gatto figlio di Artemide

Artemide era la stessa dea della caccia che i romani chiamavano Diana: una divinità di straordinaria bellezza, mascolina e combattiva. La dea avrebbe creato il gatto durante un cimento con suo fratello Apollo, che a quanto pare si divertiva proponendole le prove più difficili. Non amava forse la dea misurarsi con gli animali per affermare la sua superiorità e il suo coraggio?

E Apollo un bel giorno, credendo di spaventarla, dette vita al leone. Ma Diana non era tipo da impressionarsi e, per tutta risposta, inventò il gatto, cioè una minuscola belva somigliante al “re della foresta” che concentrava nelle forme più minute e aggraziate altrettante doti di intelligenza e di coraggio e altrettanta regale indifferenza. Di fronte a questa divertente parodia del suo temibile leone, Apollo scoppiò in una risata e la fraterna sfida ebbe fine.

I Greci, in generale, erano molto ironici nei confronti di quei popoli, come gli Egizi, che attribuivano ai gatti poteri magici e qualità divine.

“Voi vi lamentate davanti a un gatto malato – dice un poeta di Rodi rivolto a un egizio – io invece lo ucciderei per il suo pelo”. Lo stesso Esopo, il grande favolista greco, in tre storie riservò ai gatti i ruoli di protagonisti e li descrisse infidi, malevoli e vili predatori.

Tanto poco li amava che proprio un povero gatto fu la vittima di una sua ingegnosa macchinazione. All’epoca Esopo, ex-schiavo divenuto celebre per la sua machiavellica intelligenza e per la sua fine arguzia, era diventato uomo di fiducia e gran consigliere di Licero, re di Babilonia, il quale era in disaccordo con il re d’Egitto, Nictenabo.

L’oggetto del contendere erano dei tributi che quest’ultimo avrebbe preteso dal re di Babilonia. Un giorno l’egizio chiese a Licero un uomo in grado di rispondere a tutte le sue domande e questi gli mandò Esopo. Il greco si sentì chiedere delle spiegazioni riguardo a certe giumente egiziane che secondo Nectenabo erano gravide per colpa dei cavalli babilonesi.

“Il loro nitrito giungeva così alto – si lamentava pretestuosamente il re d’Egitto – che bastava quel suono a farle concepire”. Esopo chiese un po’ di tempo per pensare; tornato a casa, invece, assoldò dei ragazzi per catturare un gatto.

Il giorno dopo, la povera bestiola fu tenuta costretta in una gabbia piccolissima al centro della pubblica piazza, finché alcuni cittadini non chiesero l’intervento del re per risolvere quella situazione. “Come hai osato”, chiese Nectenabo a Esopo, “maltrattare quel divino animale? E soprattutto, perché l’hai fatto?”.

“Perché”, rispose il greco, “quella bestiaccia la notte scorsa è entrata in Babilonia e ha sgozzato un gallo molto caro a Licenro”. “Bugiardo”, si infuriò il re, “come poteva quel povero animale fare in una notte un viaggio così lungo?”. “Non tanto lungo”, ribatté Esopo, “se le tue giumente possono udire il nitrito dei nostri cavalli tanto vicino da restarne incinte…”.

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