Il gatto e il topo… nemici per la pelle

Certo, le vere ragioni dell’eterna persecuzione del gatto nei confronti del topo vanno ricercate nei costumi alimentari e nell’istinto di caccia del gatto selvatico.

A cura della Dott.ssa SILVIA DIODATI – Medico Veterinario

Nato per la caccia

Il gatto domestico, è essenzialmente un carnivoro e viene considerato il predatore per eccellenza: sebbene le prede possano essere anche uccelli, lucertole e pesci, i piccoli roditori come il topo sono il pasto più ambito e ricorrente. Oggi che il gatto domestico cresce e vive tra mille agi e comodità, senza pressanti necessità alimentari perché nutrito dall’uomo, non è facilmente comprensibile la sua ostinazione nel cacciare i topi e tanto meno l’intrattenersi “giocando” con la preda ancora viva.

L’opinione comune che vede nel topo il “nemico” del gatto e nella caccia un’attività sadica e crudele, non considera la natura degli istinti innati di predazione del gatto. Fortunatamente per lui tali istinti sono stati studiati a fondo dagli etologi che, attraverso le loro scoperte, lo hanno liberato dalla sua fama di assassino instancabile e crudele.

Una questione di istinto

Le quattro fasi della caccia – appostarsi, artigliare, uccidere e divorare – sono organizzate secondo un ordine temporale, ma sono indipendenti l’una dall’altra poiché ognuna ha una motivazione o “pulsione” propria.

Per esempio l’azione di mangiare il topo è determinata dalla sensazione di fame, che però non è la stessa che determina l’azione di appostarsi. Quando infatti il micio attende per ore presso un buco qualsiasi (per esempio quello della vasca da bagno), non lo fa perché ha fame ma semplicemente per il bisogno di “starsene in agguato.”

Ciascuna delle quattro azioni avviene perciò in presenza della pulsione specifica. L’eventuale mancanza di una o più pulsioni comprometterà il verificarsi della relativa azione, e non delle altre, che avverranno normalmente. In altre parole: un gatto sazio non mangerà il topo, ma vorrà ugualmente stare in agguato, snidarlo, afferrarlo e ucciderlo

La leggenda

“Un gatto e un topo, entrambi affamati, decisero di attraversare un fiume in cerca di cibo. Non avendo altro a disposizione, si imbarcarono su una grossa patata che usarono come zattera. Il gatto si mise a prua e con un bastone cominciò a remare verso la riva opposta. Il topo, a poppa, iniziò a rosicchiare la patata di nascosto.

In breve la zattera colò a picco e gli animali rischiarono di affogare per raggiungere la riva. Il più provato dall’avventura fu naturalmente il gatto per la sua istintiva avversione all’acqua. “Bene”, disse il micio mentre aiutava il topo a salire sulla sponda del fiume, “poiché hai mangiato la patata di nascosto e hai rischiato di farmi annegare, sarò io adesso a fare colazione e mangerò te”.

Il topo fece finta di accettare e chiese solo di potersi riposare un po’. Nel cuore della notte, però, approfittò della buona fede del gatto per nascondersi in uno stretto cunicolo che si addentrava profondamente nel sottosuolo. “Adesso che mi sono riposato vieni pure a mangiarmi” disse  beffardo al gatto, sapendo che esso non avrebbe mai potuto raggiungerlo laggiù. Da quel giorno la razza dei gatti ha dichiarato eterna guerra a quella dei topi. Un’antica leggenda che si tramanda nell’isola africana del Madagascar spiega così la millenaria guerra che divide gatti e topi.

Guarda e impara

Talvolta il gatto domestico, e più frequentemente la gatta, dopo la cerimonia di cattura ostenta il rito curioso di andare a deporre il topo sul letto o ai piedi del padrone, come se si trattasse di un’offerta. In questo caso il generoso felino, che riconosce nell’essere umano un membro familiare, lo considera del tutto incapace nella caccia del topo e gli impartisce una elementare lezione: il riconoscimento della preda più ambita.

Lo stesso viene fatto ai cuccioli durante i primi mesi di vita: loro guardano e imparano. Questo è quanto ci suggerisce l’etologia, ma esiste un’altra spiegazione, forse meno scientifica ma sicuramente più “sentimentale”, dove la bizzarra “offerta” del micio viene interpretata come un segnale della simpatia che il gatto nutre per il suo padrone-uomo.

Sadico

È questo il caso del gatto domestico ben nutrito che, invece di dare subito il colpo di grazia e divorare il topo, si intrattiene nel colpirlo, rincorrerlo, afferrarlo, rilasciarlo e afferrarlo di nuovo in una forma di “gioco” che altro non è che il soddisfacimento di quelle componenti innate dell’istinto di caccia, a cui raramente viene dato sfogo nell’ambiente domestico.

Questo non accade nel parente selvatico che, spinto dalla fame, non ama temporeggiare con la preda ancora viva ma preferisce divorarla immediatamente.

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