Il gatto del Papa

Leone XII, al secolo Annibale della Genga, non è passato alla storia come un pontefice tra i più popolari. Sebbene fosse assai caritatevole e avesse fornito di dote cento zitelle ancora in età da marito affinché si potessero accasare, l’aver spesso autorizzato l’uso della ghigliottina contro i carbonari lo rese piuttosto inviso agli italiani…

A cura di MAURA MAFFEI – Associazione Nazionale Felina Italiana

«Voi eleggete un cadavere»

Personalità complessa, famoso più per lo strambo provvedimento d’interdire l’accesso alle taverne e di far mescere il vino attraverso le sbarre dei cancelli chiusi che per il suo effettivo e sincero ascetismo, egli era di salute cagionevole. Non era molto anziano quando salì al soglio pontificio nel 1823, ma si stimava assai prossimo alla fine, tanto che il Sacramento dell’Unzione gli fu impartito per ben diciassette volte. Persino quando ci fu la fumata bianca, egli rimproverò i cardinali con la celebre frase: «Voi eleggete un cadavere».

Nelle mani giuste

Leone XII era davvero credente e non aveva paura della morte. Si preoccupava piuttosto del suo gatto a cui era affezionato. Che ne sarebbe stato, alla sua dipartita? Temendo che il micio finisse in eredità a qualche cardinale poco amante degli animali, il papa decise che era giunto il momento di trovargli un altro padrone. Cominciò così a sondare i fedeli che si recavano da lui in udienza, tra le tante cose di cui era importante parlare, Leone XII introduceva qua e là una battuta atta a svelargli se la persona che aveva di fronte fosse oppure no un dichiarato gattofilo.

Chiodo fisso

Venne il 1825, Anno Santo, in cui Leone XII volle celebrare il Giubileo. Roma fu invasa da cristiani provenienti da ogni dove. Arrivò anche un bretone e chiese udienza al papa. Gli fu subito accordata perché si trattava di uno scrittore famoso, di quel François de Chateaubriand che tanto aveva contribuito alla diffusione del messaggio evangelico con la sua opera “Il genio del Cristianesimo”. La chiacchierata tra il papa e Chateaubriand aveva già preso una piega cordiale quando Leone XII insinuò l’argomento che era diventato il suo chiodo fisso: i gatti. D’altronde doveva ringraziare lo scrittore per aver polemizzato con il naturalista Buffon, che di gatti non se ne intendeva affatto…

Amici per sempre

Chateaubriand s’illuminò e s’infervorò, perché egli adorava tutto ciò che riguardava tali bestiole. Assicurò al pontefice che non trovava la giusta ispirazione se non c’era un micio a fargli le fusa sulle ginocchia mentre scriveva. Fu tanto persuasivo che il papa mandò a prendere il suo gatto, uno splendido micione rosso marmorizzato, e glielo consegnò immediatamente. Così il felino, da romano che era, divenne bretone come il suo nuovo padrone.

© Riproduzione riservata